Efficienza energetica, miniera non sfruttata l’industria potrebbe dimezzare i consumi
Un rapporto del Politecnico di Milano illustra l’enorme potenziale di risparmi a disposizione delle imprese con le tecnologie già a disposizione e senza bisogno di incentivi. A frenarne lo sfruttamento ritardi normativi e culturali
Scarsa produttività e bollette energetiche troppo elevate. Sono queste due tra le ragioni più citate per spiegare i ritardi e la limitata competitività sui mercati dell’industria italiana. Ma mentre ci si è accapigliati a lungo sull’articolo 18 e si sta ora faticosamente cercando di chiudere un accordo tra imprese e sindacati che probabilmente finirà per non avere il consenso della Cgil, c’è un’altra strada dai risultati garantiti che quasi nessuno sta percorrendo. E’ la strada dell’efficienza energetica, una vera e propria miniera inesplorata di vantaggi. L’ultima testimonianza su questa opportunità che fatica ad essere colta non arriva da una sognante associazione ambientalista, ma dall’autorevole Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano.
Il secondo Energy Efficiency Report presentato questa mattina al campus della Bovisa spiega come nel nostro Paese ci sarebbe il potenziale per dimezzare la bolletta energetica dell’industria, tagliandola per quel che riguarda la sola elettricità di 64 TWh entro il 2020. Risultato che potrebbe essere ottenuto, secondo quanto stabilito dai ricercatori del Politecnico, con le tecnologie già esistenti attraverso investimenti capaci di ripagarsi in un arco di 3-7 anni, tempi non molto più lunghi di quelli solitamente presi in considerazione dalle imprese.
Secondo il Report, se si guarda alla convenienza “assoluta”, ovvero alla differenza fra il costo del kWh risparmiato con un intervento di efficientamento e quello di acquisto dello stesso kWh da fonte tradizionale, c’è un ampio ventaglio di tecnologie per l’efficientamento energetico (dagli inverter agli interventi sul sistema ad aria compressa, dai sistemi per il controllo dinamico della pressione in un impianto di refrigerazione alla cogenerazione) che risulta economicamente sostenibile anche in assenza di incentivazione. Altre tecnologie più costose come i motori elettrici ad alta efficienza richiedono invece un sostegno economico, ma stanno comunque facendo segnare una tendenza alla riduzione di costi che lascia prevedere incentivi limitati nel tempo.
Risultati che possono apparire sorprendenti, ma che sono in linea con le analisi realizzate negli Usa. Nel suo volume Reinventare il fuoco (pubblicato recentemente anche in Italia da Edizioni Ambiente), Amory Lovins, uno dei massimi esperti mondiali di efficienza energetica, dimostra come sia possibile ottenere nel 2050 un raddoppio della produttività energetica dell’industria statunitense.
Malgrado questo enorme potenziale per tagliare i costi energetici e recuperare competitività, il dossier del Politecnico milanese prevede che nei prossimi anni verranno ottenuti risultati limitati, con soli 16 TWh tagliati al 2020, pari al 25% delle possibilità. Il problema, avverte il Report, è di due tipi. Da un lato c’è il consueto ritardo con cui l’Italia recepisce nella sua legislazione le normative e gli standard fissati dall’Unione europea. Dall’altro c’è un deficit culturale.
Tra quelle che non sono costrette a farlo in base a precisi obblighi di legge, poco meno del 17% delle imprese censite dalla ricerca dispone di un energy manager. Solo il 22% adotta un approccio strutturato alla “gestione dell’energia”, contro un 69% di operatori che sceglie approcci di misura e controllo dei consumi energetici “rudimentali”. Un altro 15% invece non ha attivato neppure questi strumenti elementari. Ma se all’industria manca la consapevolezza e lo slancio necessario per passare all’azione, quando questo slancio c’è è spesso frenato da problemi finanziari. Il mondo bancario, denuncia il Report, è infatti ancora molto restio a finanziare interventi di messa in efficienza.
Fonte: La Repubblica