L’architetto, questo sconosciuto
Normalmente, quando in campo lavorativo mi qualifico con il mio, al tempo degli studi, sudatissimo ed ambitissimo titolo di architetto, son accolto inizialmente da qualsiasi interlocutore con la massima deferenza possibile. Sembra che questa parola magica evochi un’aurea quasi mistica, che porta chiunque a relazionarsi con quel rispetto normalmente riservato per le persone che contano. Un architetto: un misto di artista e imprenditore, un creativo da cui attendersi in ogni momento un’idea geniale, un ragionamento complicato. E soprattutto, il termine che identifica delle persone di successo, che passano di party in party e viaggiano su auto di lusso. E fanno un lavoro che tutti vorrebbero fare: quello di creare, disegnare, inventare, in cui ogni routine è bandita. Questi e tanti altri luoghi comuni sono però, almeno nel mio caso, destinati a durare il breve lasso di tempo di un incontro, con conseguente grande delusione nelle persone che, appena mi volto, si guardano con aria interrogativa e si domandano: non ho per caso sbagliato persona?
E si , perché la realtà è ben diversa da quella presente nell’opinione comune. Ed in quella che una corporazione come la mia, che dell’immagine fa un vero e proprio dogma, si sforza continuamente di perpetuare e trasmettere, a costo poi di nuocere alla maggior parte dei suoi stessi appartenenti.
Chi è oggi un architetto? Innanzitutto scordatevi i vari Fuksas, Renzo Piano ed affini. Tali fortunati (e, perché no, talentuosi) signori, che si vestono ed atteggiano come rockstar e fanno disegni incomprensibili a mano libera su blocchetti di carta in cui nessuno capisce niente, ma tutti ammirano per non passar da ignoranti, sono solo delle ristrettissime eccezioni, il cui numero in Italia si può contare con le dita della mano. Non sono però neppure quel numero di affermati professionisti, individuabile in qualche centinaio nel nostro paese, che dirigono importanti studi con qualche decina di collaboratori e lavorano per importanti aziende o ristrette (ed importanti clientele). Più che architetti queste persone sono oggi degli affermati manager, che passano tutto il loro tempo in operazioni di pubbliche relazioni e di promozioni di loro stessi. La loro occupazione è quella di procacciarsi lavoro, di cui poi in realtà conoscono ben poco poiché viene sviluppato e portato avanti dai collaboratori.
Sicuramente sono più vicini alla realtà quelle decine di migliaia di professionisti titolari di uno dei molteplici studi professionali di cui sono piene le nostre città. Spesso associati con qualche altro collega, svolgono con sincera passione la professione con l’ausilio di qualche collaboratore o tirocinante, e sono i responsabili della maggior parte delle pratiche edilizie presentate dai privati, che si tratti della ristrutturazione del bagnetto di casa o dell’ampliamento del soggiorno. Nonostante non realizzino interventi nuovi o di grandi dimensioni, riservati alla tipologia precedente, se la cavano economicamente bene. Il tutto però a prezzo di un impegno continuativo nella professione, in quanto sono generalmente costretti ad occuparsi a tempo pieno del proprio lavoro, dividendosi tra studio, uffici tecnici comunali ed occasioni di autopromozione. Proprio per questo difficilmente trovano il tempo (e la voglia) per aggiornarsi, e spesso si accontentano di qualche nozione letta su qualche rivista specializzata. O, come nell’annoso caso della certificazione Energetica, di applicare acriticamente qualche software capace di produrre l’elaborato richiesto dalle normative. Per esperienza personale, verificata nei convegni a cui ho avuto l’onore di essere stato invitato a partecipare, ho constatato che concetti come ponti termici o bioedilizia, tanto per fare due esempi, risultano spesso semplici parole per molti dei miei colleghi.
Come però ho detto in precedenza, ai giorni nostri anche queste figure non possono più essere identificate come i comuni architetti. E questo per un semplice fattore numerico. Per capirlo basta una semplice considerazione: se l’Ordine degli Architetti a Firenze conta più di 30.000 iscritti ed i titolari di studio professionale sono all’incirca un migliaio, capite bene che la stragrande maggioranza, gli altri 29.000, sono qualcosa di altro.
In base alla mia esperienza ecco cosa sono gli architetti oggi. Si tratta di una larga schiera di persone spesso molto competenti e qualificate che, oltre alla laurea, ha fatto master e corsi di specializzazione. Tecnici aggiornati a tutte le ultime tendenze progettuali sviluppate nel mondo e sui temi più importanti della professione, ma che purtroppo non hanno soldi, mezzi ed opportunità per inserirsi in un sistema bloccato e consolidato da decenni, che l’attuale crisi economica ha pesante contribuito ad inasprire ulteriormente . Si tratta di una maggioranza invisibile, perché ben nascosta dal sistema e non conosciuta dalle istituzioni, che se ha fortuna lavora come collaboratore in qualche studio professionale, occupandosi delle cose più disparate. E lo fa con un falso accordo da “professionista esterno” (ovviamente accordo: il contratto di lavoro è una parola sconosciuta), per un numero di ore indefinito e senza alcuna tutela previdenziale nel caso di infortuni in cantiere. Si tratta poi spesso di persone molto frustrate, in quanto costrette a sorbirsi le lamentele dei committenti, dell’impresa e del titolare dello studio senza aver alcuna voce in capitolo. E soprattutto perché è consapevole che, anche il più infimo dei muratori, se regolarizzato e non a nero, ha uno stipendio ben più grande del suo. Secondo la mia personale esperienza, è infatti da considerarsi fortunato se riesce a guadagnare 700,00 € nette al mese. E ciò senza che nessuno ne parli o cerchi di cambiare una situazione caratterizzata sempre più dalla mancanza di commesse e di occasioni. In questa situazione anche l’università gioca un ruolo negativo in quanto, oltre alle normali figure di architetto, con l’ultima riforma ha pensato bene di creare nuove figure in un numero minore di anni, come l’”architetto junior”a diploma triennale, immettendo così annualmente sul mercato grandi masse di persone che, ovviamente, finiscono con l’avere scarse prospettive professionali, se non quello di aumentare il bacino di lavoranti low cost. O che, pur di guadagnare qualcosa, offrono prestazioni scontatissime addirittura all’interno dei gruppi di acquisto su internet, generando così un perverso meccanismo al ribasso che porta inevitabilmente allo scadimento generale della qualità.
Capite dunque perché capita così spesso di sentirsi dire dal proprio barista, impiegato generico di ufficio o tassista (tanto per citare tre conoscenti) che “anche io mi sono laureato architetto”. Ed anche perché, quando le persone mi guardano con ammirazione quando mi presento come architetto, non posso nascondere un velo di sottile ironia nelle mie risposte. Quanto è distante il mondo dei Fuksas, così abilmente preso in giro da Crozza nei suoi interventi a Ballarò, da quello reale!
Leonardo